Chiara Cinelli - Mag 2004 - L'arte frattale di Jeannette Rütsche - Sperya

Jeannette Rütsche - Sperya
The fractal self-development of Jeannette Rütsche - Sperya


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Jeannette Rütsche - Sperya
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Chiara Cinelli - Mag 2004

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CHIARA CINELLI
Maggio 2004



Conversando con Sperya

"Il mondo lontano è la nostra interiorità, universo unico per definizione e costituzione che ci identifica e che è visibile solo a noi stessi nella sua interezza."
Così Jeannette Rütsche, in arte Sperya, definisce con chiarezza e sinteticità l'oggetto della sua esplorazione artistica, che è ricerca dinamica, in costante equilibrio tra un dentro e un fuori, tra un mondo lontano sempre più visibile allo spirito e una realtà che di questo mondo si fa riflesso.

Il mio incontro con Sperya, che ho cercato e voluto spinta da un'istintiva attrazione per le sue opere, si svolge in modo del tutto casuale, tra frammenti di vita vissuta e di vita sognata, tra realtà e immaginazione, in uno scambio realmente comunicativo, di emozioni, pensieri e " lontananze".
Ogni singolo evento della sua vita è segnato da una forte spinta al superamento dei limiti conoscitivi, che si realizza in un'incessante e pervicace esplorazione del non noto. Il desiderio di entrare in relazione con nuove realtà, nuovi paesaggi e civiltà, la spinge ad imbarcarsi, poco più che ventenne, sull'Eugenio Costa, dove farà una brillante carriera. In questi anni, la passione per la fotografia e per la scrittura, nate non semplicemente da una necessità documentaristica, ma da un primo impulso all'espressione artistica, formano una galleria di "visioni", che Jeannette porterà sempre con sé. Nel '96 e nel '97, le due spedizioni nel deserto del Sahara, costituiscono una vera e propria tappa spirituale, che prende forma nelle parole di un bellissimo "diario di viaggio", impronta indelebile di un'esperienza estatica, laica e visionaria insieme. Infine il lungo percorso aziendale, che la porta fin qui, all'inizio di questa nuova avventura.
Un accumulo esperienziale dalle molte facce e molteplici direzioni, che trova un'unica forte intenzionalità nella profonda presa di coscienza di una vita interiore che la costruisce e la identifica sempre più.

Mentre mi porta a spasso per la sua vita, cerco in un suo sguardo o in un tamburellare di dita un nuovo varco, che mi porti un po' più in là.
"Perché il frattale, perché l'arte?", le chiedo allora.
Cinque anni fa si affaccia alla mente di Jeannette un nuovo limite conoscitivo e con esso una nuova spinta al superamento: per motivi di lavoro, si imbatte nella geometria frattale o frazionaria, apprendendone, oltre alla complessità dei processi matematici, anche le infinite potenzialità espressive, che ne fanno un importante strumento d'arte.
Parallelamente al desiderio conoscitivo, cresce in lei un altrettanto forte impulso espressivo, che tante volte si era affacciato nella sua vita e in parte realizzato ( nella scrittura o nella fotografia per esempio), ma che solo ora le fa spiccare il volo.
Volare, però, non è solo una questione di tecnica, di esercizio e di volontà, ma piuttosto l'attimo inatteso in cui tutto questo si realizza: quell'attimo è arrivato, per Sperya, nel 2002.

Ha inizio un viaggio immaginifico attraverso le sue opere, che lentamente mi dischiudono un percorso interiore involontario e proprio per questo profondamente voluto e vissuto.
Entro nel mondo di "Ipnosi", "Dirigibile", "Grattacieli" e "Freccia", primi frutti dell'immaginazione di Sperya, e mi appare una realtà opprimente, attraverso la quale ci si aggira frastornati, senza direzione né scopo, privati del proprio tempo, in un cammino di progressiva dispersione del nostro io, frantumatosi in evanescenti apparenze.
Dicembre 2002: "I grattacieli, quelli lucidi che sulle strade riflettono la luce dalle vetrate o quelli opachi in cui nella nostra intimità d'animo ci rifugiamo per non farci riconoscere, sono le nostre prigioni. La cosa strana è che ci entriamo di nostra volontà pensando di essere potenti". Da qui Sperya vuole fuggire, spogliandosi del superfluo e di tutto ciò che di questo mondo non le appartiene più.
È con "Penetrazione" che si compie il primo passo verso la liberazione: un corpo appuntito sembra voler rompere la "tela" e uscire dal quadro; è l'artista e la sua immaginazione che cercano di penetrare aldilà delle apparenze, alla ricerca di lontananze più vere, è l'opera d'arte stessa che tenta di uscire da sé, di superare i propri limiti materiali, alla ricerca di nuovi mondi possibili.
I mondi possibili che di qui in avanti Sperya esplorerà, sono quelli dell'interiorità, dai complessi meccanismi della mente umana, fino ai più reconditi angoli del nostro spirito. Nelle opere del 2003, il punto di vista è quello di chi guarda e riflette il mondo esterno con gli occhi del proprio "essere" spirituale, in un processo di interiorizzazione della realtà circostante, al fine di meglio comprendere le complessità della mente e delle emozioni. Se "Respingente" è la visualizzazione chiara dei mille atteggiamenti di difesa e chiusura che mettiamo in atto nelle relazioni con gli altri, "Insetto" è l'immagine dei "piccoli mostri" che albergano nel nostro animo e che talvolta riusciamo a dominare, ma che di tanto in tanto riescono ad avere la meglio su di noi.
Un "Cancello" si apre sul 2004, sui i nostri segreti più preziosi, le nostre paure e oscurità, su tutto ciò che ci ha portato fin qui, tra illusioni, dolori e attimi di luminosa serenità."Il passato non torna, mai: si è trasmutato nel nostro io attuale e in tale trasmutazione sta la sua incancellabilità, come tatuaggio nei nostri tessuti organici."
Osservo "Passato", ultima opera di Sperya, e ne traggo un profondo senso di pace e di angoscia a un tempo: avvicinandomi all'opera, mi appare un mondo opacizzato, una densa stratificazione di elementi vegetali e umani, di corpi, forse, o di parte di questi; mi allontano e vedo, con immediata chiarezza, una figura nera sbalzare sul contesto sottostante, sembrerebbe un volto umano.
È il passato in tutto il suo parossismo: da poco trascorso mostra ancora tutte le sue incongruenze e oscurità, osservato da lontano ci svela con nitidezza i suoi contorni, mostrandoci il nostro "noi antico".
La forza comunicativa delle opere di Sperya, risiede nella verità del suo messaggio, e nella limpidezza spirituale che lo ha generato; da qui, la profonda coerenza di un percorso artistico e l'estrema fruibilità delle sue opere aldilà di una loro non facile intellegibilità.
Da un punto di vista "linguistico", infine, l'infinita possibilità di giochi ottici che la geometria frazionaria consente di realizzare, dà vita a spazi prospettici inusuali e a molteplici possibilità di visione e fruizione: lo spazio non ha carattere di prescrittività per lo spettatore, lo sguardo può decidere di fermarsi su un piccolo punto dell'opera e farsene ipnotizzare, perdersi nell'insieme, o penetrare più a fondo facendosene assorbire. Sperya indica la via, sulla scia della propria visione, allo spettatore il compito di cercare tracce di questa, nelle infinite strade della percezione e dell'emozione. In fondo la creazione e la fruizione non sono altro che due facce di uno stesso gioco, in cui ci nascondiamo, ci inseguiamo, ci perdiamo per ritrovarci sempre, là da dove eravamo partiti. Il gioco dei bambini, il gioco dell'arte.
Vorrei ritardare la fine del nostro incontro, così le chiedo se, a suo avviso, in questo mondo ci sia ancora spazio per la magia. Mi risponde così: "Il nucleo centrale della nostra personalità emana forze che dirigono le scelte, motivano le azioni, pianificano gli obiettivi. Può non piacerci, ma è la nostra magia".

Ringrazio Sperya per avermi fatto sbirciare nel suo "mondo lontano".


Chiara Cinelli
(consulente del B.C. Studio - Milano)

Immagini pubblicate in questo sito © Jeannette Rütsche - Sperya, Milano
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