Alain Ehrenberg - L'arte frattale di Jeannette Rütsche - Sperya

Jeannette Rütsche - Sperya
The fractal self-development of Jeannette Rütsche - Sperya


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Alain Ehrenberg

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Alain Ehrenberg



Sociologo, dirige il gruppo di ricerca "Psychotropes, Politique, Société" del CNRS.

IL SOGGETTO DELLA NEVROSI O L'ANGOSCIA DI ESSERE SE STESSI
Estratto da
Ehrenberg A. (1998). La fatigue d'être soi. Paris: Editions Odile Jacob
(Trad. it. Sergio Arecco. La fatica di essere se stessi. Torino: Giulio Einaudi editore, 1999)



(pag. 58)
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Ma perchè il compito di liberarsi della miseria interiore è impossibile? Freud ha risposto tante volte alla domanda: "L'esperienza insegna che per la maggior parte degli uomini vi è un limite al di là del quale la loro costituzione non può adeguarsi alla richiesta della civiltà. Tutti coloro che vogliono essere più nobili di quanto la loro costituzione non permetta soccombono alla nevrosi; sarebbero stati più sani se fosse stato loro possibile essere peggiori". .....

LA POTENZA DEL NEVROTICO E LA FRAGILITA' DEL DEPRESSO
Estratto da
Ehrenberg A. (1998). La fatigue d'être soi. Paris: Editions Odile Jacob
(Trad. it. Sergio Arecco. La fatica di essere se stessi. Torino: Giulio Einaudi editore, 1999)



(pagg. 176-177)

..... la nevrosi è conseguenza di un conflitto che ci colpevolizza ....., mentre la depressione è avvertita come un deficit di cui proviamo vergogna. ..... Il depresso è calato in una logica in cui domina il senso d'inferiorità, laddove il nevrotico è coinvolto in una dinamica trasgressiva - ed entrambi vorrebbero essere, ricordiamolo parafrasando Freud, più nobili di quanto sia loro costituzionalmente permesso. ..... La personalità depressiva resta bloccata in permanenza a uno stadio adolescenziale, senza che possa mai pervenire a uno stadio adulto di sostanziale accettazione delle delusioni che costituiscono il prezzo di ogni esistenza. Ne deriva un perenne senso di fragilità, precarietà, instabilità .....
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L'INDIVIDUALIZZAZIONE DELL'AZIONE
Estratto da
Ehrenberg A. (1998). La fatigue d'être soi. Paris: Editions Odile Jacob
(Trad. it. Sergio Arecco. La fatica di essere se stessi. Torino: Giulio Einaudi editore, 1999)



(pagg. 257-258)
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Per molto tempo il cambiamento è parso una cosa auspicabile, legato com'era all'idea di un progresso che avrebbe dovuto proseguire indefinitamente e di una solidarietà sociale che avrebbe dovuto estendersi illimitatamente. Oggi il cambiamento viene invece percepito in modo ambiguo, poichè il timore del fallimento e la paura di non uscirne prevalgono nettamente sulle speranze di ascesa sociale. Restano, delle aspettative di cambiamento, solo alcune macerie, che le parole "vulnerabilità", "fragilità", "precarietà" riassumono molto bene. Noi cambiamo, certo, ma non abbiamo più l'impressione di progredire. Coniugata con tutto quanto oggi è pulsione alla spettacolarizzazione del privato, la "civiltà del cambiamento" finisce solo per vellicare un voyeurismo di massa puntato sulla sofferenza psichica. Una sofferenza che sgorga ovunque e serpeggia in mille rivoli, che sono poi i mille mercati del benessere interiore. Oggi una componente non esigua delle tensioni sociali si manifesta in termini di implosione, di intorpidimento depressivo o, che è lo stesso, di esplosione - violenza, rabbia, febbrile ricerca di emozioni. La psichiatria contemporanea ce lo conferma: il senso d'impotenza individuale può fissarsi nell'inibizione, esplodere nell'esagitazione o conoscere gli instancabili automatismi del comportamento compulsivo. La depressione è così il punto nevralgico in cui s'incrociano le norme che definiscono l'azione, l'estensività della nozione di sofferenza o disagio sociale e le nuove risposte provenienti dalla ricerca e dall'industria farmaceutiche.


IL VERSANTE DEL CONFLITTO: LA GUARIGIONE E' UN COMPROMESSO
Estratto da
Ehrenberg A. (1998). La fatigue d'être soi. Paris: Editions Odile Jacob
(Trad. it. Sergio Arecco. La fatica di essere se stessi. Torino: Giulio Einaudi editore, 1999)



(pag. 280)
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Una cosa sembra certa nel modello conflittuale: il benessere non è guarigione, perchè guarire è essere capaci di soffrire, di sopportare la sofferenza. Ed essere guariti, sotto questo profilo, non vuol dire affatto essere felici, vuol dire essere liberi, cioè recuperare un ascendente su noi stessi che sappia farci "decidere in favore di questo o quest'altro". Se accettiamo l'idea che la salute è la capacità di trascendere i nostri schemi normativi, allora dobbiamo saper distinguere la felicità dalla libertà e il benessere dalla guarigione. Se l'uomo in buona salute deve saper tollerare scosse d'ogni tipo e sentirsi sempre pronto a trascendere i propri schemi normativi, in presenza di disordine psichico non lo può fare perchè è un soggetto conflittuale: il conflitto agisce da motore ma anche da freno.
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LA DIPENDENZA O LA NOSTALGIA DEL SOGGETTO PERDUTO
Estratto da
Ehrenberg A. (1998). La fatigue d'être soi. Paris: Editions Odile Jacob
(Trad. it. Sergio Arecco. La fatica di essere se stessi. Torino: Giulio Einaudi editore, 1999)



(pagg. 302-306)

..... Cambiare la personalità di malati veri significa restituire loro la salute. Cambiare la personalità di soggetti sulla cui malattia si nutrono dubbi significa drogarli, quand'anche la droga risultasse innocua. Il paziente al quale è stata assicurata una buona qualità di vita non può incorrere nel sospetto di essere confortevolmente drogato? .....
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..... La follia è un evento che vi accade, la droga un'azione che fa accadere. Io divento pazzo, ma io mi drogo. La droga è un comportamento: implica un'intenzione e un'azione. Contrariamente alla follia, mette in gioco la volontà, di cui configura la patologia. Le droghe non sono forse mezzi che utilizziamo per moltiplicare le nostre capacità personali, come la resistenza, la concentrazione, l'immaginazione o il piacere? .....
Le molteplici distinzioni che separavano l'azione dall'agente nelle società religiose si sono ormai dissolte: l'azione non ha altra fonte che l'agente che la compie e che ne è l'unico responsabile. La figura del soggetto ne esce in gran parte modificata. Il problema dell'azione non è: ho il diritto di compierla? ma: sono in grado di compierla? Ormai ci ritroviamo tutti coinvolti in un'esperienza comune in cui il riferimento a ciò che è permesso è inquadrato in un riferimento a ciò che è possibile.
Si istituisce così un doppio movimento. Prima si assiste a un'infatuazione tecnologica per il continuo rimodellamento di sè, una moda cyberumana, come si esprime il catalogo dell'esposizione "Post-Human" tenuta a Losanna nel 1992: "Un numero sempre maggiore di persone è convinto che non vi sia la minima convenienza a tentare di 'guarire' un disturbo della personalità. Al contrario, sarebbe molto più idoneo tentare di modificarla, invece di curarla". Poi, complementarmente, si assiste a un crampo morale, come accade col sovrainvestimento della legge penale, cui spetta il compito di porre tassativamente dei "limiti" che il soggetto non deve oltrapassare se vuole rimanere soggetto. Qual è il "limite" tra un ritocco di chirurgia estetica e la trasformazione in androide di un Michael Jackson, o tra un'abile gestione dei propri umori grazie ai farmaci psicotropi e la trasformazione in "robot chimici", o tra le strategie di seduzione "troppo" spinte e l'abuso sessuale, o tra il riconoscimento dei diritti degli omosessuali e il diritto all'adozione finora non ancora sancito dalla legge? E via esemplificando. Sono proprio le frontiere della persona e quelle tra le persone a determinare un tale stato di allarme da non sapere più chi è chi. L'incesto, ad esempio, non è, come la dipendenza, "un cortocircuito con se stessi"? Una società tesa all'iniziativa individuale e alla liberazione psichica, una società che induce ciascuno a decidere in permanenza, non può che incoraggiare pratiche di autotrasformazione personale e creare contemporaneamente problemi di autostrutturazione personale che erano del tutto inesistenti in una società disciplinare. Lo sfumare del permesso nel possibile fa sì che, se ci è consentito dirlo, nessuno possa più ignorare la legge.
.....

Immagini pubblicate in questo sito © Jeannette Rütsche - Sperya, Milano
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